Biografia di Édouard Manet
Nazione: Francia
Édouard Manet nacque a Parigi il 23 gennaio 1832 e morì sempre a Parigi il 30 aprile 1883. Fu un pittore.
Il padre di Manet era un magistrato e aveva sempre sognato per il figlio una carriera analoga. Édouard invece era portato per le arti e il disegno. Nel 1844 venne portato al collegio Rollin, dove conobbe Antonin Proust. Insieme, i due passavano il tempo libero visitando il Louvre, che scoprirono grazie a uno zio materno di Manet che invece incoraggiava e sosteneva la sua vocazione. Il padre volle a tutti i costi che si iscrivesse a giurisprudenza, ma pur di non farlo, Manet cercò di arruolarsi in marina. Fallì il test di ammissione e quindi il padre acconsentì ad accompagnarlo e Le Havre dove si imbarcò come mozzo su un mercantile diretto in Sud America.
Al suo ritorno, dopo aver riempito tutti taccuini con disegni dei posti visitati e ritratti dei compagni di viaggio, tentò di nuovo la strada dell'accademia navale, ma fallì di nuovo il test. Il padre, ormai rassegnato ad avere un figlio fallito, lo lasciò seguire la sua inclinazione e studiare Belle Arti.
Nel 1850 entrò nello studio di Thomas Couture, che aeveva avuto come maestro un allievo del grande Jacques Louis David. Manet era assolutamente insoddisfatto e sprezzante dello stile rigido dell'epoca, che prediligeva scene mitologiche o storiche rigide e imbellettate. Parlava di quel tipo di opere come di "quadri morti". Rimase comunque sei anni allo studio di Couture, ma nel frattempo viaggiò molto in tutta Europa, compresa l'Italia.
Quando il rapporto con Couture arrivò alla rottura questi gli disse espressamente che se voleva diventare un caposcuola, doveva andarsene e fondarne una tutta sua. Complice il fatto che l'anno prima c'era stata l'Esposizione Universale, dove un certo Gustave Courbet aveva fatto erigere a proprie spese un "Padiglione del Realismo" come provocazione contro l'arte appresa meccanicamente, Manet trovò terreno fertile per cominciare a dipingere come aveva sempre sognato. In quegli anni a Parigi c'era un grande fermento culturale e artistico; un giorno, al Louvre, Manet incontrò il figlio di un banchiere che, come lui stesso anni prima, copiava un dipinto di Velasquez: si trattava di Edgar Degas.
La svolta nella vita di Manet avvenne quando conobbe Baudelaire, il quale scrisse un saggio su Le Figaro dove esaltava la rappresentazione artistica del presente (contrapposto al passato). Alla Galerie Martinet furono esposti in una mostra quadri di Manet, Théophile Gautier e altri. Le critiche del pubblico, non abituato a questo nuova espressione artistica, furono asprissime. I quadri vennero ovviamente rifiutati dal famigerato Salon dove la giuria era ancora composta da professori dell'Accademia dalle vedute ristrette e antiquate. Gli esclusi, inclusi Gustave Doré, Courbet e lo stesso Manet si ribellarono e ottennero da Napoleone III la creazione di un salon des refusés (salone dei rifiutati) dove manet espose la tela intitolata Colazione sull'erba. In essa, una delle persone ritratte era una donna nuda, la cui figura era lontana dalla bellezza classica e molto più vicina alla normalità di una qualsiasi donna parigina. Nuove critiche piovvero su Manet e su tutto il movimento artistico del Realismo.
Negli anni successivi Manet espose il Cristo morto e due angeli che provocò quasi una sommossa popolare. Con un altro quadro, Olympia, che ritrae una donna nuda che ricorda in un certo qual modo la Maya desnuda di Goya, Manet scatenò un autentico putiferio. In pratica divenne il pittore di cui si parlava di più a Parigi, anche se non se ne parlava proprio come avrebbe voluto lui. A causa di queste pesantissime critiche, decise di partire per la Spagna, la patria di quei Velasquez e Goya che tanto avevo copiato in gioventù nella sale del Louvre.
Per quanto al museo del Prado (Madrid) avesse potuto ammirare altre opere di Velasquez, nonché di artisti italiani e nordici, Manet ritornò a Parigi fondamentalmente deluso dalla Spagna. Si dedicò a tele meno anti-conformiste delle precedenti, ma la sua fama di offensore della morale e del buon gusto era ancora talmente viva che le opere vennero scartate immediatamente dal Salon, nonostante uno sferzante articolo di Émile Zola che lodava la semplicità e l'autenticità delle sue opere.
A quel punto, nel 1867 Manet cambiò approccio. Realizzò una mostra personale, simile a quella di Courbet del 1855, dove espose quasi sessanta opere. La gente andava a vedere la mostra e rideva di lui e dei auoi quadri, ma importanti personaggi quali Renoir, Monet, Cézanne e altri si rivelarono ardenti estimatori e con essi Manet iniziò a riunirsi al Café Guerbois in rue des Batignolles.
Nel 1870 scoppiò la guerra franco-prussiana e la scuola di Belle Arti e il Salon vennero aboliti. Nel frattempo il gruppo degli impressionisti, fra i quali Degas, Pissarro, Sisley e altri, andava via via sempre più affermandosi e Manet si ritrovò ad essere il capostipite ideale di questo movimento. Quando questi organizzarono una mostra personale, Manet non aderì anche se invitato. Invece, grazie alla nascita di un circuito commerciale privato, Manet riuscì a vendere tutte le sue opere per una forte somma, risolvendo i propri problemi economici e aiutando i suoi amici impressionisti esponendo le loro opere nel proprio studio.
Continuò ad esporre, o a tentare di farlo, presso il ricostituito Salon, ma l'eredità malefica di Colazione sull'erba e Olympia non lo abbandondava, facendo andare male le vendite nonostante il sostegno dell'amico Mallarmé. I tempi però stavano cambiando: il suo amico di sempre Antonin Proust venne nominato membro della Chambre des Députés e, nel 1881, ministro delle Belle Arti. Egli fece in modo che Manet venisse insignito del cavalierato alla Legion d'Onore, mentre la salute del pittore veniva meno. Nonostante le sofferenze, riuscì a terminare un quadro intitolato Il bar delle Folies Bergère che rappresentò una sorta di testamento spirituale: l'anno successivo morì e al suo funerale la bara venne portata dai suoi amici, fra i quali Antonin Proust, Émile Zola e Claude Monet.
Il padre di Manet era un magistrato e aveva sempre sognato per il figlio una carriera analoga. Édouard invece era portato per le arti e il disegno. Nel 1844 venne portato al collegio Rollin, dove conobbe Antonin Proust. Insieme, i due passavano il tempo libero visitando il Louvre, che scoprirono grazie a uno zio materno di Manet che invece incoraggiava e sosteneva la sua vocazione. Il padre volle a tutti i costi che si iscrivesse a giurisprudenza, ma pur di non farlo, Manet cercò di arruolarsi in marina. Fallì il test di ammissione e quindi il padre acconsentì ad accompagnarlo e Le Havre dove si imbarcò come mozzo su un mercantile diretto in Sud America.
Al suo ritorno, dopo aver riempito tutti taccuini con disegni dei posti visitati e ritratti dei compagni di viaggio, tentò di nuovo la strada dell'accademia navale, ma fallì di nuovo il test. Il padre, ormai rassegnato ad avere un figlio fallito, lo lasciò seguire la sua inclinazione e studiare Belle Arti.
Nel 1850 entrò nello studio di Thomas Couture, che aeveva avuto come maestro un allievo del grande Jacques Louis David. Manet era assolutamente insoddisfatto e sprezzante dello stile rigido dell'epoca, che prediligeva scene mitologiche o storiche rigide e imbellettate. Parlava di quel tipo di opere come di "quadri morti". Rimase comunque sei anni allo studio di Couture, ma nel frattempo viaggiò molto in tutta Europa, compresa l'Italia.
Quando il rapporto con Couture arrivò alla rottura questi gli disse espressamente che se voleva diventare un caposcuola, doveva andarsene e fondarne una tutta sua. Complice il fatto che l'anno prima c'era stata l'Esposizione Universale, dove un certo Gustave Courbet aveva fatto erigere a proprie spese un "Padiglione del Realismo" come provocazione contro l'arte appresa meccanicamente, Manet trovò terreno fertile per cominciare a dipingere come aveva sempre sognato. In quegli anni a Parigi c'era un grande fermento culturale e artistico; un giorno, al Louvre, Manet incontrò il figlio di un banchiere che, come lui stesso anni prima, copiava un dipinto di Velasquez: si trattava di Edgar Degas.
La svolta nella vita di Manet avvenne quando conobbe Baudelaire, il quale scrisse un saggio su Le Figaro dove esaltava la rappresentazione artistica del presente (contrapposto al passato). Alla Galerie Martinet furono esposti in una mostra quadri di Manet, Théophile Gautier e altri. Le critiche del pubblico, non abituato a questo nuova espressione artistica, furono asprissime. I quadri vennero ovviamente rifiutati dal famigerato Salon dove la giuria era ancora composta da professori dell'Accademia dalle vedute ristrette e antiquate. Gli esclusi, inclusi Gustave Doré, Courbet e lo stesso Manet si ribellarono e ottennero da Napoleone III la creazione di un salon des refusés (salone dei rifiutati) dove manet espose la tela intitolata Colazione sull'erba. In essa, una delle persone ritratte era una donna nuda, la cui figura era lontana dalla bellezza classica e molto più vicina alla normalità di una qualsiasi donna parigina. Nuove critiche piovvero su Manet e su tutto il movimento artistico del Realismo.
Negli anni successivi Manet espose il Cristo morto e due angeli che provocò quasi una sommossa popolare. Con un altro quadro, Olympia, che ritrae una donna nuda che ricorda in un certo qual modo la Maya desnuda di Goya, Manet scatenò un autentico putiferio. In pratica divenne il pittore di cui si parlava di più a Parigi, anche se non se ne parlava proprio come avrebbe voluto lui. A causa di queste pesantissime critiche, decise di partire per la Spagna, la patria di quei Velasquez e Goya che tanto avevo copiato in gioventù nella sale del Louvre.
Per quanto al museo del Prado (Madrid) avesse potuto ammirare altre opere di Velasquez, nonché di artisti italiani e nordici, Manet ritornò a Parigi fondamentalmente deluso dalla Spagna. Si dedicò a tele meno anti-conformiste delle precedenti, ma la sua fama di offensore della morale e del buon gusto era ancora talmente viva che le opere vennero scartate immediatamente dal Salon, nonostante uno sferzante articolo di Émile Zola che lodava la semplicità e l'autenticità delle sue opere.
A quel punto, nel 1867 Manet cambiò approccio. Realizzò una mostra personale, simile a quella di Courbet del 1855, dove espose quasi sessanta opere. La gente andava a vedere la mostra e rideva di lui e dei auoi quadri, ma importanti personaggi quali Renoir, Monet, Cézanne e altri si rivelarono ardenti estimatori e con essi Manet iniziò a riunirsi al Café Guerbois in rue des Batignolles.
Nel 1870 scoppiò la guerra franco-prussiana e la scuola di Belle Arti e il Salon vennero aboliti. Nel frattempo il gruppo degli impressionisti, fra i quali Degas, Pissarro, Sisley e altri, andava via via sempre più affermandosi e Manet si ritrovò ad essere il capostipite ideale di questo movimento. Quando questi organizzarono una mostra personale, Manet non aderì anche se invitato. Invece, grazie alla nascita di un circuito commerciale privato, Manet riuscì a vendere tutte le sue opere per una forte somma, risolvendo i propri problemi economici e aiutando i suoi amici impressionisti esponendo le loro opere nel proprio studio.
Continuò ad esporre, o a tentare di farlo, presso il ricostituito Salon, ma l'eredità malefica di Colazione sull'erba e Olympia non lo abbandondava, facendo andare male le vendite nonostante il sostegno dell'amico Mallarmé. I tempi però stavano cambiando: il suo amico di sempre Antonin Proust venne nominato membro della Chambre des Députés e, nel 1881, ministro delle Belle Arti. Egli fece in modo che Manet venisse insignito del cavalierato alla Legion d'Onore, mentre la salute del pittore veniva meno. Nonostante le sofferenze, riuscì a terminare un quadro intitolato Il bar delle Folies Bergère che rappresentò una sorta di testamento spirituale: l'anno successivo morì e al suo funerale la bara venne portata dai suoi amici, fra i quali Antonin Proust, Émile Zola e Claude Monet.
Frasi di Édouard Manet
Abbiamo un totale di 6 frasi.
Le abbiamo suddivise in pagine da 50 frasi ciascuna.
Intanto te ne inseriamo una qui come stuzzichino.
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Dobbiamo ammaliare la verità, darle l'apparenza della follia.
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