Frasi di Umberto Galimberti
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L'amore è tra me e quel fondo abissale che c'è dentro di me, a cui io posso accedere grazie a te. L'amore è molto solipsistico; e tu, con cui faccio l'amore, sei quel Virgilio che mi consente di andare nel mio Inferno, da cui poi emergo grazie alla tua presenza (perché non è mica detto che chi va all'Inferno poi riesca a uscire di nuovo). Grazie alla tua presenza io emergo: per questo non si fa l'amore con chiunque, ma con colui/lei di cui ci si fida; e di che cos'è che ci si fida? Della possibilità che, dopo l'affondo nel mio abisso, mi riporti fuori.
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Il vampiro è un morto che non vuol morire, è uno dei tanti riflessi immaginifici che dicono la difficoltà per l'individuo e per il gruppo di accettare la morte che, come Freud ci ricorda, torna nei sogni e percorre la comunità primitiva atterrendola con il timore del contagio, per cui i morti vanno sepolti, anche se poi la terra non li nasconde abbastanza e soprattutto non li sradica dall'anima. Il vampiro è allora un morto che ritorna, perché per l'anima non è definitivamente morto. Con il sangue, che è poi la vita, ghermisce vergini, immagini dell'anima, che si divincolano nelle braccia dei vampiri per resistere alla morte.
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Quando finisce un amore non soffriamo tanto del congedo dell'altro, quanto del fatto che, congedandosi da noi, l'altro ci comunica che non siamo un granché. In gioco non è tanto la relazione, quanto la nostra identità; l'amore è uno stato ove per il tempo in cui siamo innamorati, non affermiamo la nostra identità, ma la riceviamo dal riconoscimento dell'altro; e quando l'altro se ne va, restiamo senza identità. Ma è nostra la colpa di esserci disimpegnati da noi stessi, di aver fatto dipendere la nostra identità dall'amore dell'altro. E allora, dopo il congedo, il lavoro non è di cercare di recuperare la relazione dell'altro, ma di recuperare quel noi stessi che avevamo affidato all'altro, al suo amore, al suo apprezzamento.