Frasi di Isabel Allende
51/97
Si salutarono con un abbraccio. La guida ritornò indietro con le bestie e i giovani cominciarono ad avanzare verso la linea invisibile che divideva quell'immensa catena di montagne e di vulcani. Si sentivano piccoli, soli, vulnerabili, due naviganti persi in un mare di cime e di nuvole, in un silenzio lunare; ma sentivano pure che il loro amore aveva acquistato una nuova dimensione che sarebbe stato l'unica fonte di forza nell'esilio. Nella luce dorata dell'alba si fermarono per guardare la loro terra un'ultima volta. Ritorneremo? - mormorò Irene. - Ritorneremo - rispose Francisco. E, negli anni successivi, quella parola avrebbe costellato i loro destini: ritorneremo, ritorneremo...
52/97
Mi chiamo Eva, che vuol dire vita, secondo un libro che mia madre consultò per scegliermi il nome. Sono nata nell'ultima stanza di una casa buia e sono cresciuta fra mobili antichi, libri in latino e mummie, ma questo non mi ha resa malinconica, perché sono venuta al mondo con un soffio di foresta nella memoria. Mio padre, un indiano dagli occhi gialli, veniva dal luogo in cui si uniscono cento fiumi, odorava di bosco e non guardava mai direttamente il cielo, perché era cresciuto sotto la cupola degli alberi e la luce gli sembrava indecorosa. Consuelo, mia madre, aveva trascorso l'infanzia in una regione incantata, dove per secoli gli avventurieri hanno cercato la città di oro puro vista dai conquistatori spagnoli allorché si affacciarono sugli abissi della loro ambizione. Quel paesaggio aveva lasciato in lei una traccia che in qualche modo riuscì a trasmettermi.
54/97
Le parole sono gratuite, diceva, e se ne appropriava: erano tutte sue. Lei seminò nella mia testa l'idea secondo cui la realtà non è solo come appare in superficie, perché ha una dimensione magica e, volendo, è legittimo esagerarla e colorirla per rendere meno noioso il passaggio attraverso questa vita.
55/97
La morte non esiste, figlia. La gente muore solo quando viene dimenticata. - mi spiegò mia madre poco prima di andarsene. - Se saprai ricordarmi, sarò sempre con te. - Mi ricorderò di te - le promisi. [...] Poi mi prese una mano e con gli occhi mi disse quanto mi amava, finché il suo sguardo non divenne nebbia e la vita uscì da lei senza amore. Sospettavo che nulla esistesse davvero, che la realtà fosse una materia gelatinosa che i miei sensi capivano a metà. Non c'erano prove che tutti la percepissero alla stessa maniera. Forse Zulema, Riad Halabì e gli altri avevano un'impressione diversa delle cose, forse non vedevano gli stessi colori, né udivano gli stessi suoni. Se così fosse stato, ognuno viveva in assoluta solitudine.
56/97
Scrissi che durante quelle settimane benedette il tempo si allungò, si avvoltolò su se stesso, si srotolò come il fazzoletto di un mago e questo bastò perché Rolf Carlé - con la sua solennità ridotta in polvere e la vanità finita sulla luna - esorcizzasse i suoi incubi e riprendesse a cantare le canzoni dell'adolescenza e perché io ballassi la danza del ventre imparata nella cucina di Riad Halabì e raccontassi, fra risate e sorsi di vino, tante storie.
57/97
Ti toglievi la fascia dalla vita, ti strappavi i sandali, gettavi in un angolo l'ampia gonna, era di cotone, mi sembra, e scioglievi il nodo che ti stringeva i capelli in una coda. Avevi la pelle d'oca e ridevi. Eravamo talmente vicini che non potevamo vederci, assorti entrambi in quel rito urgente, avvolti nel calore e nell'odore che emanavamo insieme. Mi aprivo il passo per le tue vie, le mie mani sulla tua vita protesa e le tue impazienti. Sfuggivi, mi percorrevi, mi scalavi, mi avvolgevi con le tue gambe invincibili, mi dicevi mille volte vieni con le labbra sulle mie. Nell'attimo estremo avevamo un bagliore di completa solitudine, ciascuno perduto nel proprio abisso rovente, ma subito risorgevamo al di là del fuoco per scoprirci abbracciati nel disordine dei guanciali, sotto la zanzariera bianca. Ti scostavo i capelli per guardarti negli occhi. Talvolta ti sedevi accanto a me con le gambe raccolte e il tuo scialle di seta su una spalla, nel silenzio della notte che iniziava appena. Così ti ricordo, in quiete.
58/97
Si chiudeva la porta alle spalle e apriva leggermente la finestra perché il riflesso della strada entrasse a illuminare le cerimonie che aveva inventato per impadronirsi dei frammenti dell'anima di quell'uomo, rimasti a impregnare i suoi oggetti. Nella lastra dello specchio, nera e brillante come una pozza di fanghiglia, si osservava a lungo, perché là si era guardato lui, e le impronte delle due immagini potevano confondersi in un abbraccio.
60/97
Il Capitano la sosteneva con la stessa amorosa cura con cui in gioventù afferrava il vento con le vele di qualche nave eterea, guidandola per la pista come se si cullassero nell'acqua tranquilla di una baia, mentre le diceva nel suo idioma di tormente e foreste tutto ciò che il suo cuore aveva taciuto fino a quel momento.
63/97
Sono nata tra le nuvole di fumo e la carneficina della Seconda guerra mondiale e ho trascorso la maggior parte della mia giovinezza in attesa che qualcuno, premendo distrattamente un bottone, facesse esplodere le bombe atomiche e saltare in aria il pianeta. Nessuno sperava di vivere a lungo; andavamo di fretta, divorando ogni istante prima che ci sorprendesse l'apocalisse, perciò non c'era tempo di stare a guardarsi l'ombelico e prendere appunti, come si usa adesso.
64/97
Ci sono città come Caracas o Città del Messico, dove poveri e ricchi si mescolano, ma a Santiago i confini sono ben definiti. La differenza tra le dimore dei ricchi ai piedi della cordigliera, con le guardie al cancello e quattro garage, e le baracche dei proletari, dove vivono quindici persone ammucchiate in due locali senza il bagno, è esorbitante. Tutte le volte che vado a Santiago mi accorgo che una parte della città è in bianco e nero, e l'altra è in technicolor.
66/97
Chi sono i cileni? Mi risulta difficile descriverli a parole, ma mi basta un'occhiata per riconoscere un compatriota a cinquanta metri di distanza.[...] Malgrado nel nostro lungo e sottile paese ci separino migliaia di chilometri, la somiglianza tra noi è forte; siamo accomunati dalla lingua e tradizioni simili. L'unica eccezione è rappresentata dalla classe alta, che discende quasi completamente dagli europei, e dagli indigeni.
68/97
I cileni sono credenti, anche se la loro pratica religiosa è decisamente più vicina al feticismo e alla superstizione di quanto sia legata all'inquietudine spirituale o alla conoscenza teologiga. Nessuno si dichiara ateo, nemmeno il comunista più radicale, perché questo termine è considerato offensivo, si preferisce la parola "agnostico".
76/97
Sono venuta al mondo un martedì d'autunno del 1880, nella dimora dei miei nonni materni, a San Francisco. Mentre all'interno di quella labirintica casa di legno mia madre, grondante di sudore, ansimava per aprirmi un varco, il cuore intrepido e le ossa disperate, nella strada ribolliva la vita selvaggia del quartiere cinese con il suo aroma indelebile di cucina esotica, il suo chiassoso torrente di dialetti sbraitati, la sua inestinguibile folla di api umane in un frettoloso andirivieni. Nacqui di buon mattino, ma a Chinatown gli orologi non si attengono ad alcuna regola e a quell'ora prende vita il mercato, il traffico di carretti e i latrati tristi dei cani nelle loro gabbie, in attesa del coltello del cuoco. Solo parecchio tempo dopo sono venuta a conoscenza dei particolari della mia nascita, ma sarebbe stato ancora peggio non averli mai appresi; si sarebbero potuti smarrire per sempre negli impervi sentieri dell'oblio.
79/97
Selezioniamo il materiale più brillante e quello più buio, ignorando ciò che è fonte di vergogna, e così tessiamo il grande arazzo della nostra vita. Per mezzo della fotografia e della parola scritta cerco disperatamente di sconfiggere la fuggevolezza della mia vita, di catturare gli attimi prima che svaniscano, di rischiarare la confusione del mio passato. Ogni istante si dissolve in un soffio trasformandosi immediatamente in passato, la realtà è effimera e transitoria, pura nostalgia. Con l'aiuto di queste fotografie e di queste pagine tengo vivi i ricordi; sono il punto fermo di una verità labile, che è pur sempre verità, attestano che questi eventi hanno avuto luogo e che questi personaggi sono transitati per il mio destino. Grazie a loro posso far resuscitare mia madre, morta quando vidi la luce, le mie agguerrite nonne e il mio saggio nonno cinese, il mio povero padre come anche altri anelli della lunga catena della mia famiglia, tutti di sangue misto e appassionato. Scrivo per sciogliere gli antichi segreti della mia infanzia, definire la mia identità e creare la mia leggenda. Alla fine, l'unica cosa a cui possiamo attingere a piene mani è la memoria che abbiamo intessuto. Ognuno sceglie la tonalità con cui raccontare la propria storia; a me piacerebbe scegliere la chiarezza durevole di una stampa su platino, ma niente nel mio destino possiede tale luminoso requisito. Vivo tra gradazioni sfumate, velati misteri, incertezze; la tonalità con cui raccontare la mia vita si accorda meglio a quella di un ritratto in seppia...
80/97
"Mia madre è ancora viva, ma sarà uccisa Venerdì Santo a mezzanotte" lo avvertì Amanda Martín e l'ispettore capo la prese sul serio, visto che aveva dato prova di saperne più di lui e di tutti gli agenti della Sezione Omicidi. La donna era prigioniera da qualche parte nei diciottomila chilometri quadrati della Baia di San Francisco, avevano poche ore per trovarla ancora in vita e lui non sapeva da dove cominciare. Per non umiliare la vittima con una denominazione più esplicita, il primo omicidio fu catalogato dal gruppo di giocatori come "il crimine della mazza da baseball fuori posto". Era composto da cinque adolescenti e da un signore di una certa età che si riunivano via computer per partecipare a Ripper, un gioco di ruolo.
81/97
Andavano per le vie dell'ovest senza fretta e senza meta precisa, mutando rotta secondo il capriccio di un istante, al segnale premonitore di uno stormo d'uccelli, alla tentazione di un nome ignoto. I Reeves interrompevano il loro erratico peregrinare ove li cogliesse la stanchezza o incontrassero qualcuno disposto ad acquistare la loro impalpabile mercanzia. Vendevano speranza. Così percorsero il deserto nell'una e nell'altra direzione, valicarono le montagne e una mattina videro apparire il giorno su una spiaggia del Pacifico.
82/97
Toulouse Valmorain arrivò a Saint-Domingue nel 1770, lo stesso anno in cui il Delfino di Francia sposò l'arciduchessa austriaca Maria Antonietta. Prima di partire per la colonia, quando ancora non sospettava che il destino si sarebbe beffato di lui facendolo finire sepolto tra i canneti nelle Antille, era stato invitato a Versailles a una delle feste in onore della nuova Delfina, una ragazzina bionda di quattordici anni che sbadigliava ostentatamente nonostante il rigido protocollo della corte francese.
83/97
All'alba Alexander Cold fu svegliato di soprassalto da un incubo. Aveva sognato un enorme uccello nero che si schiantava contro la finestra con un fragore di vetri infranti, penetrava in casa e si portava via la mamma. Immobile osservava il gigantesco avvoltoio ghermire la madre per i vestiti con i suoi artigli gialli, volare dalla finestra rotta e perdersi in un cielo carico di densi nuvoloni. Il rumore del vento che sferzava gli alberi, la pioggia sul tetto, lampi e tuoni gli tolsero definitivamente il sonno. Accese la luce con la sensazione di trovarsi su una barca alla deriva e si avvinghiò alla sagoma del cagnone che gli dormiva di fianco. Sapeva che a pochi isolati da casa sua l'Oceano Pacifico mugghiava, infrangendo le sue onde furiose contro la scogliera. Rimase ad ascoltare la tempesta e a pensare all'uccello nero e alla mamma, in attesa che si placassero i rulli di tamburo che sentiva nel petto. Era ancora impigliato nelle immagini di quel brutto sogno.
84/97
Tutti nascono con qualche talento speciale ed Eliza Sommers scoprì presto di possederne due: un buon naso e una buona memoria. Il primo le servì per guadagnarsi da vivere e il secondo per potersene ricordare, se non con precisione, almeno con la poetica vaghezza degli astrologi. Quel che si dimentica è come se non fosse mai successo, e i suoi ricordi reali o illusori erano talmente tanti che per lei fu come vivere due volte. Diceva sempre al suo fedele amico, il saggio Tao Chi'en, che la sua memoria era come il ventre della nave su cui si erano conosciuti, buia e spaziosa, zeppa di casse, barili e sacchi in cui si erano accumulati gli episodi di tutta la sua esistenza.
85/97
Nella mia vita non mancano drammi, ne ho viste di tutti i colori e ho materiale in abbondanza per scrivere, eppure, quando arriva il 7 gennaio, sono comunque in ansia. Stanotte non ho potuto dormire, si è abbattuta su di noi una tempesta, il vento ruggiva tra le querce e colpiva le finestre di casa, apogeo del diluvio biblico delle ultime settimane. Alcuni quartieri della contea sono stati inondati, i pompieri non sono riusciti a far fronte a un disastro di tali proporzioni, la gente si è riversata in strada, con l'acqua alla vita, per mettere in salvo dalla marea ciò che poteva. I mobili fluttuavano per i viali principali e alcuni animali domestici, spaventati, attendevano i padroni sui tetti delle macchine semisommerse, mentre i reporter catturavano dagli elicotteri le immagini di questo inverno in California, che sembra l'uragano in Louisiana. In alcuni quartieri non è stato possibile circolare per un paio di giorni e, quando finalmente ha spiovuto e si è vista la gravità del disastro, sono dovute intervenire squadre di immigrati latinoamericani che si son messe al lavoro per aspirare l'acqua con le pompe e portare via le macerie a mano. La nostra casa appollaiata su una collina ci preserva dalle inondazioni, in compenso le sferzate del vento che riceve frontalmente sono così forti da piegare le palme e ogni tanto riescono a sradicare di netto gli alberi più orgogliosi, quelli che non chinano la testa. A volte, nel culmine della tempesta, si alzano onde capricciose che sommergono l'unica strada di accesso; allora, affascinati, osserviamo dall'alto lo spettacolo inusitato della baia infuriata.
86/97
Partiamo dall'inizio, da un evento senza il quale Diego de la Vega non sarebbe mai nato. Tutto cominciò in Alta California, nella missione di San Gabriel, nell'anno 1790 di Nostro Signore. A quel tempo la missione era guidata da padre Mendoza, un francescano con spalle da boscaiolo e un aspetto più giovanile dei suoi quarant'anni ben spesi, energico e autoritario, per il quale la parte più impegnativa del ministero era mettere in pratica la lezione di umiltà e bontà di san Francesco d'Assisi. In California c'erano molti religiosi, sparsi in ventitré missioni, impegnati nel diffondere la dottrina di Cristo tra le varie migliaia di pagani delle tribù chumash e shoshone, e altre, che non sempre si prestavano di buon grado a riceverla.